L'Attimo Fuggente e la sua Influenza Attraverso i Secoli

La mia tesina, spero piaccia.

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    Introduzione



    La scelta di questa tesina è data dal fatto che mi ha sempre affascinato il motivo dell'Attimo Fuggente, di saper cogliere un istante della vita, o della giornata, per compiere un'azione per la quale, forse, più tardi non si avrà un'altra occasione per poter agire. Questo concetto l'ho preso anche come filosofia di vita, e cioè che cerco di vivermi giorno per giorno, senza pensare al domani, provando a "cogliere l'attimo" per qualsiasi cosa. E siccome questo argomento mi affascinava, mi sono sentita in dovere di approfondire questo discorso. Oltretutto, volevo trovare qualcosa di originale, rispetto ai soliti percorsi o tesine che si presentano, di solito, alla maturità. E dunque, tramite questo concetto, arriverò a “cogliere l'attimo” in tutte le sue sfaccettature, in qualsiasi ambito.

    «Dum loquimur fugerit invida
    aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
    »
    Mentre parliamo il tempo sarà già fuggito, come se ci odiasse.
    cogli l'attimo, confidando il meno possibile nel domani.
    »)
    Orazio



    Carpe diem, letteralmente “Cogli il giorno”, normalmente tradotta in “Cogli l'attimo”, anche se la traduzione più appropriata sarebbe “Vivi il presente” (non pensando al futuro), è una locuzione tratta dalle Odi del poeta latino Orazio (Odi 1, 11, 8). Viene di norma citata in questa forma abbreviata, anche se sarebbe opportuno completarla con il seguito del verso oraziano: “quam minimum credula postero” (“confidando il meno possibile nel domani”).
    Si tratta non solo di una delle più celebri orazioni della latinità; ma anche di una delle filosofie di vita più influenti della storia, nonché di una delle più fraintese, nella quale Orazio fece confluire tutta la potenza lirica della sua poesia.

    Significato



    La «filosofia» oraziana del carpe diem si fonda sulla considerazione che all'uomo non è dato di conoscere il futuro, né tantomeno di determinarlo. Solo sul presente l'uomo può intervenire e solo sul presente, quindi, devono concentrarsi le sue azioni, che, in ogni sua manifestazione, deve sempre cercare di cogliere le occasioni, le opportunità, le gioie che si presentano oggi, senza alcun condizionamento derivante da ipotetiche speranze o ansiosi timori per il futuro.

    Si tratta di una «filosofia» che pone in primo piano la libertà dell'uomo nel gestire la propria vita e invita a essere responsabili del proprio tempo, perché, come dice il Poeta stesso nel verso precedente, “Dum loquimur, fugerit invida aetas” (“Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già passato”). Nel binomio s'intrecciano due concetti profondi, la qualità (carpe) e la temporalità (diem) del vivere. A confermare la natura serena del godimento oraziano, il verbo carpere, che denota un gusto leggero, un piacere centellinato e fine, fatto di goduriosa eleganza e sottile diletto catartico. Il giorno invece, il termine diem, sottolinea la limitatezza, la precarietà dell'esistenza, che può essere bruscamente interrotta da qualsiasi accidente e che perciò dev'essere vissuta con l'intensità che la consapevolezza della sublimità del mondo dona.

    Ma anche guardare al semplice godimento di un piacere, pur se responsabilizzato, è mortificante del profondo senso della locuzione. Orazio volle infondere una serena dignità all'uomo che dia valore alla propria esistenza sfidando l'usura del tempo e il suo status effimero. Lungi quindi dall'essere un crasso e materialista invito al bere, o anche un piacere senza turbamento, carpe diem esprime l'angosciosa imprevedibilità del futuro, la gioia dignitosa della vita e il coraggio della morte; l'espressione di un valore che spesso nelle odi oraziane si confonde con l'ammirata esplorazione lirica del paesaggio, talvolta meraviglioso e sublime, talvolta a tinte cupe e fosche: riflesso perenne di un'esistenza complessa, di un reticolo fittissimo di esperienze ed emozioni che è lecito vivere intensamente prima della morte.

    Il Carpe Diem nell'Antichità


    Nella Grecia arcaica del VII secolo a.C., Mimnerno di Colofone, lamentava la fugacità della giovinezza rifacendosi ad una similitudine omerica del sesto libro dell’Iliade:

    «Siamo come le foglie nate alla stagione florida
    -crescono così rapide nel sole-:
    godiamo per un gramo tempo i fiori dell’età,
    dagli dèi non sapendo il bene, il male»
    ( fr. 2, vv. 1-4; trad. F.M. Pontani)



    Mimnermo, lontano da filosofie libertine, ricercava la felicità in un piacere poco profondo, destinato a durare un solo attimo, e che reca gioia solo nel momento in cui lo si prova, senza che però si provi gioia nel ricordarlo.

    Nello stesso periodo, Alceo di Mitilene cantava la necessità di godere dei beni dei presente, delle gioie del vino e del simposio (una pratica conviviale dell'antica Grecia e Roma, in cui i conviviali bevevano secondo le prescrizioni del simposiarca, cioè colui che era eletto a presiedere il convivio):

    «Beviamo: a che attendere le fiaccole?
    Dura un dito il giorno!»
    (fr. 346, v. 1- trad. A. Porro)



    Il poeta greco si rifaceva al piacere momentaneo, ma la sua ricerca era semplice, priva di schemi mentre Orazio arricchiva il suo carpe diem di valori simbolici, dandogli lo spessore di una meditazione esistenziale.

    L’invito a godere delle gioie dell’amore ed il senso della fragilità della vita è presente anche in Asclepiade di Samo, il quale scrisse:

    «A me ti neghi: perché mai se, una volta nell’Ade,
    nessuno troverai, fanciulla, che t’ami?
    Ai vivi sono riservate le gioie d’amor: ché nell’Acheronte
    polvere ed ossa, o fanciulla, resteràn di noi.»
    (trad.. L.Tortora)


    In questa poesia, il piacere si connota nei termini di ricerca di appagamento, come in Mimnermo, ma puoi provarlo a qualunque età.

    Oltre che in Grecia, il tema del carpe diem ricorre tra i poeti neoterici. Uno di loro, Catullo, rivolgendosi alla donna amata Lesbia, la invita a godere dei piaceri del presente affermando che la luce è breve:

    «Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
    rumoresque senum severiorum
    omnes unius aestimemus assis.
    Soles occidere et redire possunt:
    nobis cum semel occidit brevis lux,
    nox est perpetua una dormienda.
    Da mi basia mille, deinde centum,
    dein mille altera, dein secunda centum,
    deinde usque altera mille, deinde centum.
    Dein, cum milia multa fecerimus
    conturbabimus illa, ne sciamus,
    aut ne quis malus invidere possit,
    cum tantum sciat esse basiorum.
    »

    («Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
    i brontolii dei vecchi troppo rigidi
    valutiamoli tutti un solo centesimo.
    I giorni possano tramontare e ritornare:
    noi quanto la breve vita tramonta,
    siamo costretti dormire una sola interminabile notte.
    Dammi mille, poi cento,
    di seguito altri mille, e poi ancora cento,
    quindi ancora altri mille e ancora cento.
    Poi, quando ne avremo sommate molte migliaia,
    li mescoleremo tutti,
    perché nessuno possa stringere in malie
    un numero di baci così grande»)



    Il carpe diem di Catullo si serviva del ciclico ripetersi degli eventi a fronte della logicità del destino umano: infatti l’autore pregava la sua amata Lesbia di donargli più piacere possibile, perché il tempo della vita che rimane loro, per quanto esso possa sembrare lungo, si accorcia ad ogni attimo che passa. Il trasporto che caratterizzava Catullo non era sicuramente quello di Orazio, che amò l’arte e la poesia più di uomini e donne, il non pensare al domani era anche un modo di rimuovere il pensiero della morte, inscindibile da quello del tempo che fugge.


    Il Carpe Diem attraverso i secoli:
    l'influenza nella letteratura



    LORENZO DE' MEDICI (XV secolo)

    «Quant’è bella giovinezza
    che si fugge tuttavia;
    chi vuol esser lieto, sia,
    di doman non v’è certezza»
    (Il Trionfo di Bacco e Arianna, Ritornello)



    Già nel XV secolo abbiamo una testimonianza dell'influenza dell'Attimo Fuggente con Lorenzo de' Medici, grazie alla sua canzone di Bacco. In essa, Lorenzo de' Medici vuole invitare noi giovani, attraverso l'allegoria dei due giovani amanti quali Bacco e Arianna, a viversi al meglio la vita, perché “di doman non v'è certezza”. Sicuramente, il primo messaggio che si percepisce è quello del tempo che fugge, e quindi di riuscire a cogliere l'attimo per godersi al meglio la vita.

    «Ciascun apra ben gli orecchi,
    di doman nessun si paschi;
    oggi siàn, giovani e vecchi,
    lieti ognun, femmine e maschi;
    ogni tristo pensier caschi:
    facciam festa tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.»
    (Il Trionfo di Bacco e Arianna, VII strofa)



    Ed è qui che ci ritroviamo con la citazione oraziana. Lorenzo de' Medici infatti scrive “di doman nessun si paschi”, che è più o meno simile al “confidando il meno possibile nel domani” di Orazio. Lorenzo de' Medici ci invita a non confidare troppo nel domani, visto che “non v'è certezza”.

    «Donne e giovinetti amanti,
    viva Bacco e viva Amore!
    Ciascun suoni, balli e canti!
    Arda di dolcezza il core!
    Non fatica, non dolore!
    Ciò c'ha esser, convien sia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.»
    (Il Trionfo di Bacco e Arianna, VIII strofa)


    Nell'ultima strofa, troviamo ancora il concetto del viversi la vita, di ballare e cantare perché, ancora una volta, nel domani non c'è certezza.
    In questo “Trionfo” abbiamo però una visione un po' malinconica dell'Attimo Fuggente, tanto che Lorenzo de' Medici lo enuncia con toni quasi solenni, come ad indicare che per lui ormai il tempo è passato, e quindi esorta i giovani dell'epoca (e, se proprio vogliamo, anche attuali) a godersi la vita come se non esistesse un domani.

    LUDOVICO ARIOSTO (XVI Secolo)

    «Se mal si seppe il cavallier d’Anglante
    pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
    il danno se ne avrà; che da qui inante
    nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
    (tra sé tacito parla Sacripante).»
    (L'Orlando Furioso, Canto I, ottava 57)



    Il riferimento al carpe diem oraziano, in questo caso, sta nel fatto che Sacripante, un cavaliere giunto allo stesso ruscello presso cui Angelica stava riposando, non vuole perdere l'occasione di iniziare il “dolce assalto” (ottava 59, verso 2). Tuttavia, questo non voler sprecare l'occasione, questo voler cogliere l'attimo, è ribadito non solo in questa ottava, ma viene detto più volte, specialmente da Sacripante.

    TORQUATO TASSO (XVI secolo)

    «Amiam, che non ha tregua
    con gli anni umana vita, e si dilegua.
    Amiam, che ‘l sol si muore e poi rinasce,
    a noi sua breve luce
    s’asconde, e ‘l sonno eterna notte adduce.»
    (Aminta, Coro)



    Nell'Aminta, Tasso parla più che altro del fatto che l'Età dell'Oro se n'è ormai andata, e la canta con un tono malinconico. Ma nell'ultima parte del coro, Tasso esprime anche la sua nostalgia verso la caducità della giovinezza, su quello del carpe diem, tema tipico del Rinascimento italiano, e quindi il cogliere l'attimo mentre fugge.
    Il Tasso continua questa tradizione letteraria ma utilizza un tono molto più malinconico che spegne inesorabilmente il breve fiorire di una illusione di vita e di gioia.

    ALPHONSE DE LAMARTINE (XIX secolo)

    «Mais je demande en vain quelques moments encore,
    Le temps m’échappe et fuit;
    Je dis à cette nuit:"Sois plus lente"; et l’aurore
    Va dissiper la nuit.»

    («Ma chiedo invano alcuni momenti ancora,
    Il tempo fugge;
    Dico a questa notte: "Sii più lenta"; e l'alba
    Dissiperà la notte.»)
    (Il Lago, strofa 8)

    «"Aimons donc, aimons donc!"de l’heure fugitive,
    Hâtons-nous, jouissons!
    L’homme n’a point de port, le temps n’a point de rive;
    Il coule, et nous passons!»

    («"Amiamo dunque, amiamo dunque!" delle ore fuggitive,
    Acceleriamo, usufruiamo!
    L'uomo non ha affatto porti, il tempo non ha affatto rive;
    Fluisci, e passiamo!»)
    (Il Lago, strofa 9)

    «Temps jaloux, se peut-il que ces moments d’ivresse,
    Où l’amour à longs flots nous verse le bonheur,
    S’envolent loin de nous de la même vitesse
    Que les jours de malheur?»

    («Tempo geloso, può darsi che questi momenti d'ebbrezza
    dove l'amore a lunghe onde ci versa la felicità,
    volino lontano da noi con la stessa velocità
    dei giorni di disgrazia?»)
    (Il Lago, strofa 10)


    Facendo un doveroso salto temporale, poiché il carpe diem non si manifesta nel XVII e nel XVIII secolo, arriviamo dunque alla poesia che più di ogni altra è influenzata dal carpe diem: Le Lac (Il Lago) di Alphonse de Lamartine. Qui citati ci sono ben tre pezzi in cui Lamartine, un poeta francese vissuto nell'epoca del romanticismo.
    Nella strofa 8, Lamartine dice chiaramente “Il tempo fugge” (Le temps m'échappe et fuit), un richiamo a “Il tempo sarà già fuggito” di Orazio, e quindi un diretto richiamo al concetto originale del carpe diem, così come “Delle ore fuggitive” (De l'heure fugitive) richiama tantissimo a quell'unico verso oraziano. La strofa 10 si apre con “Tempo geloso” (Temps jaloux), che richiama a “Il tempo sarà già fuggito, come se ci odiasse”, infatti è probabile che il tempo sia geloso dell'uomo, il quale continua a vivere nonostante tutto.

    Il Carpe Diem nell'Arte



    Inoltre, il concetto del carpe diem è racchiuso nei dipinti degli impressionisti, i quali dipingevano en plein air e quindi a diretto contatto con la natura, per cercare di immortalare un momento preciso. I pittori impressionisti erano soliti a non completare subito i quadri, quanto più ad aspettare lo stesso giorno e la stessa ora per terminare di dipingere il loro paesaggio. Il primo che usò questa tecnica della pittura en plein air, ed è anche colui che diede il nome al movimento impressionista, è stato Claude Monet con il suo quadro dipinto al porto di Le Havre “Impressione, sole nascente”, questo perché l'impressione è un movimento che passa dall'esterno e giunge all'interno di una persona, al contrario dell'espressionismo che era un movimento che dall'interno passa all'esterno, per esprimere qualcosa, e non per imprimere.

    Tuttavia, la più grande invenzione per quanto riguarda il carpe diem non sta tanto nel saper dipingere all'aria aperta, quanto più saper immortalare un momento senza aver bisogno di pennelli o di tele: si tratta quindi dell'invenzione della camera ottica, detta anche camera oscura, che era l'antica macchina fotografica. Bastava davvero pochissimo per saper imprimere un istante su carta, attraverso l'uso sapiente della luce.

    Il primo che riuscì a fare una vera e propria fotografia, per come la intendiamo noi adesso, è Joseph Nicéphore Niépce, il quale era un fotografo e un ricercatore francese. Egli, sperimentando diverse tecniche, riuscì a ottenere la sua prima immagine disegnata dalla luce (dopo aver steso uno strato di bitume di Giudearidotto in polvere e disciolto in essenza di lavanda; la soluzione viene pennellata su una lamina di rame ricoperta d'argento e quindi fatta asciugare; lo strato di vernice fotosensibile viene esposto per qualche ora sul fondo di una camera oscura; successivamente la lamina viene immersa in un bagno di lavanda per dissolvere i frammenti che non hanno ricevuto la luce e così si ottiene l'immagine in negativo. Per il positivo occorre un contenitore con cristalli di iodio che formano depositi di ioduro d'argento; eliminando la vernice con l'alcool appare l'immagine fotografica vera e propria) che definisce eliografia, la madre della moderna fotografia.
    L'unico imprevisto è che il risultato del suo lavoro non è fissato e quindi si annerisce progressivamente al contatto con la luce.
    Grazie a questa tecnica Niépce riuscì, nel 1826, ad immortalare l'attimo fuggente: Vista dalla finestra a Le Gras. È il primissimo esempio di fotografia nell'intera storia dell'umanità.

    L'Attimo Fuggente:
    il film con Robin Williams


    «Cogli l'attimo, cogli la rosa quand'è
    il momento, perché, strano a dirsi,
    ognuno di noi in questa stanza
    un giorno smetterà di respirare,
    diventerà freddo e morirà.»
    (John Keating, interpretato da Robin Williams)



    Nel cinema e nelle arti drammatiche, oltre all'Aminta di Torquato Tasso già citata in precedenza, abbiamo il celeberrimo film del 1989 con Robin Williams, cui titolo è “L'Attimo Fuggente” (“Dead Poets Society” in Inglese) diretto da Peter Weir.
    Il carpe diem in questo film è presente in una scena chiave, che dà il titolo all'intero lungometraggio, ed è la sequenza in cui il professor Keating mostra ai suoi studenti delle foto di ragazzi che erano lì prima di loro, e che hanno saputo “cogliere l'attimo” per poter fare qualcosa per cui ora sono ricordati. Ed ecco allora che un ragazzo, cui nome è Neil Perry, decide di iscriversi al club di teatro per ottenere una parte in “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, e riesce anche ad ottenerla: ma l'entusiasmo viene smorzato dal padre, il quale gli vieta categoricamente di partecipare alla commedia. Neil, tuttavia, vi partecipa e ottiene grandi applausi dal pubblico, ma non da suo padre, il quale vuole iscrivere il figlio all'accademia militare per far diventare Neil un dottore. Il ragazzo, sapendo che cosa dovrà aspettarsi in quell'accademia, si suicida con un colpo di pistola.
    Altri eventi, come il riferimento al preside del fatto che la Setta dei Poeti Estinti esista ancora, e il fatto che il preside obbliga gli studenti a firmare un documento secondo il quale il professore di letteratura avrebbe istigato Neil a disobbedire al padre, portano John Keating a lasciare l'istituto. Prima, però, il professore passa dalla sua classe per salutare gli studenti, mentre il preside lo sostituisce come insegnante di letteratura, e quando sta per andarsene definitivamente dalla classe un alunno, Todd Anderson, sale sul banco e inizia a recitare una poesia di Walt Whitman “O Capitano, Mio Capitano!” (la quale era stata inizialmente scritta per Abramo Lincoln): la reazione del preside è rabbiosa, ma subito dopo altri ragazzi compiono lo stesso gesto, anche chi non aveva mai preso sul serio gli insegnamenti del professore; egli osserva questa scena: la sua permanenza alla scuola è finita e la sua carriera probabilmente compromessa, ma ciò che ha ricevuto dai suoi giovani allievi compensa l'incerto futuro.


    Conclusioni



    Il nostro viaggio attraverso il tempo per cercare di cogliere l'attimo è concluso. Abbiamo esplorato a fondo autori ed epoche, e abbiamo viaggiato attraverso la storia per vedere quanto una sola considerazione abbia prodotto un enorme filone di “seguaci”. Grazie a Orazio, il quale ha dato origine al detto carpe diem, abbiamo una delle frasi più filosofiche della storia dell'umanità. Chissà mai che questa citazione, in futuro, possa portare ad altre opere di ancor più grande rilievo.

    «Carpe diem, quam minimum credula postero.»



    Fonti:

    http://it.wikipedia.org/
    www.forumlive.net/

    e anche http://studenti.it <- non mi sembrava il caso di metterlo!

    PS: Considerate che questa tesina ci ho messo dieci minuti per esporla, per un totale di 8 ore di lavoro! ^^ E' stata dura, ma sono soddisfatta del risultato!
     
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    Oh, il tema è bellissimo! °ç°
    E considerate le discipline umanistiche che hai inserito, è proprio una tesina nelle mie corde (tra l'altro ho studiato tutti i testi che hai inserito, tranne quello di Lamartine).
    Ma tu non hai fatto latino e greco, sbaglio? Hai potuto metterli lo stesso?
    Se posso farti un piccolo appunto "invida aetas" (Orazio) sarebbe da tradurre con "tempo invidioso".
    Questa citazione ce l'ho tra le mie preferite su FB. xD
    Complimenti! ;)
    (P.S. Non hai usato anche libri come fonti? La commissione ti ha detto qualcosa?)
     
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    Ho dimenticato di inserire i libri tra le fonti, purtroppo. Comunque no, latino e greco non le ho fatte, ma mi hanno consentito comunque di metterle dentro, poiché la tesina è un approfondimento di un argomento già fatto.

    Per quanto riguarda la traduzione di "Invida aetas" l'ho trovata su Wikipedia, quindi non so cosa dirti. xD

    Grazie per i complimenti!
     
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  4. ~ laila
     
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    Che bell'idea da cui partire per scrivere una tesina!
    E sei anche stata molto sintetica, la mia è venuta decisamente più lunga e ho dovuto tagliare alcune cose per poterla esporre tutta. ><
    Brava **
     
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    Grazie. ^^ Ho già spiegato i motivi della mia scelta, e mi sono divertita ad analizzare le opere!
     
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  6. Wislender
     
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    Ebbrava Shining! Fino a dove te l'hanno fatta dire?
     
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    Purtroppo mi mancava l'ultima parte sul film dell'Attimo Fuggente, poi l'avrei finita... :/ Però per il resto me l'hanno lasciata dire per più di dieci minuti! ^^
     
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  8. ~ laila
     
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    Da me il presidente faceva partire il cronometro e ti avvertiva quando mancavano due minuti allo scadere del tempo. Al massimo ti lasciava arrivare fino ai 12 minuti. Magari avessi potuto parlare per un bel pezzo anch'io, non avrei dovuto tagliare un milione di cose interessanti ò.ò
     
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7 replies since 4/7/2012, 23:26   14083 views
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